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Cina, performance deludenti e restrizioni anti-Covid frenano l’interesse degli investitori esteri (Moneyfarm)

"Gli investitori esteri abbandonano la Cina dopo un anno di performance deludenti: le azioni cinesi continuano a perdere terreno, le relazioni politiche con il resto del mondo sono sempre più complicate e l’eccessivo indebitamento di alcuni settori (vedi quello immobiliare, con il caso Evergrande) stanno gettando un’ombra sull’affidabilità finanziaria del Paese". Lo rileva Roberto Rossignoli, Portfolio Manager Moneyfarm, ricordando che nel 2021 "il Dragone è stato uno dei mercati che ha registrato le performance peggiori: l’indice MSCI China è sceso del 22%, sottoperformando le azioni americane di quasi il 50%" e anche "il 2022 non sembra essere iniziato sotto i migliori auspici, almeno per ora, dal momento che gli investitori stranieri hanno scaricato azioni cinesi per un valore record di 6 miliardi di dollari nei primi tre mesi dell’anno". 

 

Inoltre, la Cina "ha rivisto al ribasso, al 5,5%, la propria crescita per il 2022, poiché deve affrontare una triplice pressione dovuta a una contrazione della domanda, a problemi dell’approvvigionamento e all’indebolimento delle sue aspettative economiche"; poi "per le nuove restrizioni anti-Covid, la città di Shanghai è stata paralizzata" e anche "Shenzen, città chiave dal punto di vista produttivo, ha subito un blocco totale". Infine, la "crisi del settore immobiliare, iniziata con Evergrande, si è estesa ad altre realtà del real estate".

Quest'ultimo "continua a dare molti grattacapi al governo cinese. Il tutto è iniziato verso la fine del 2021, quando l’eccessivo indebitamento (300 miliardi di dollari) ha reso impossibile per la società il pagamento di fornitori e dipendenti" ricorda Rossignoli, evodenziando che il caso "non è ancora risolto: la società non è fallita, ma proprio nelle scorse settimane è tornata a far parlare di sé, comunicando con una nota alla Borsa di Hong Kong che non sarebbe stata in grado di pubblicare i risultati finanziari del 2021 entro il 31 marzo, come richiesto alle aziende quotate. Il motivo? Il processo di auditing non sarebbe ancora stato completato. Il ritardo ha riacceso i riflettori sulla fragilità del settore immobiliare cinese".

Altro tema, il fatto che "Xi Jinping non fa mistero della sua posizione verso le società tecnologiche cinesi che, nella sua visione, devono essere al servizio del partito comunista e della sua linea di crescita economica del Paese. Un atteggiamento molto diverso rispetto a quello che ha il governo USA nei confronti delle sue big tech, molto tutelate e considerate dei veri e propri “gioiellini” (oltre che degli strumenti per imporre la propria egemonia), liberi di crescere e ottenere sempre più potere economico". Un esempio è rappresentato dal caso di Didi, "app cinese per prenotare un’auto con conducente per brevi tratte, che nel luglio 2021 si è quotata a Wall Street raggiungendo un valore di 70 miliardi di dollari. Dopo lo sbarco sulla Borsa americana, la società avrebbe potuto ottenere altri finanziamenti. Il governo cinese ha però bloccato l’operazione per timore che l’azienda e i dati dei suoi utenti potessero finire in mano americana, determinando una perdita miliardaria per l’azienda e per gli investitori e scoraggiando altre società dal quotarsi negli Stati Uniti" conclude l'esperto.

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