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Covid impatta su margini blue chips, ma capitalizzazione di Borsa aumenta dell'1,4%

R&S Mediobanca, per manifatturiero rimbalzo del 10% nel 2021 e ritorno a pre-crisi nel 2022

Hanno perso ricavi, soprattutto margini, ma non la capitalizzazione di Borsa, che è aumentata. Le 27 società, tra quelle che appertangono alla manifattura e ai servizi quotate sul segmento principale di Piazza Affari, non hanno perso valore, nonostante l'impatto del Covid-19 e, secondo uno studio di R&S Mediobanca valgono oggi 386 miliardi di euro. Nel 2020 ... (segue)

... la loro capitalizzazione è aumentata dell’1,4%, con un guadagno di 5,2 miliardi. Forte spinta positiva delle società manifatturiere che hanno guadagnato 19,7 mld rispetto al 2019 (+10,9%) e delle energetiche/utilities (+9,5 mld; +8,2%). Incrementi che compensano la riduzione del valore di Borsa per i servizi (-4,4 mld; -12,9%) e per il petrolifero, rappresentato da Eni, che ha subìto la frenata più netta (-19,6 mld; -38,8%). Campioni di crescita in Borsa sono stati DiaSorin (+47,4%), INWIT e Interpump (entrambe +42,8%), Prysmian (+35,3%) e Amplifon (+32,8%). Saipem (-49,4%), Leonardo (-43,4%) oltre a Eni sono invece i titoli con la maggior flessione. Al 23 aprile 2021 le 27 società industriali e di servizi quotate sull’indice Ftse Mib rappresentano un valore di Borsa totale di 431 mld, in aumento del +11,7% da inizio anno, con un guadagno di 45 mld (+17,7% l’incremento delle società manifatturiere).Tutto questo a fronte del fatto che rispetto al 2019, le società analizzate hanno perso ricavi per oltre 75 mld (-18,6%). LIn particolare la manifattura ha registrato il calo minore (-14,3%), seguita dai servizi (-14,7%) e dalle 2 energetiche/utilities (-15,6%), mentre il petrolifero con Eni (-37,1%) riporta le maggiori perdite di fatturato. Tra le società brilla DiaSorin, il cui aumento dei ricavi a doppia cifra (+27,1%) ha beneficiato della vendita dei kit diagnostici per il Covid, seguita da Stm (+6,8%), Inwit (+6,1%) e Italgas (+6,0%). Nel 2020 le società analizzate hanno perso oltre 19 mld a livello di margini industriali (-42,5% sul 2019). Se da un lato il settore energia/utilities è riuscito a limitare il calo del Mon (-4%), dall’altro si registrano le flessioni della manifattura (-43,9%) e dei servizi (-53,4%) e il crollo di Eni (-97,8%). Primeggia DiaSorin anche per crescita del Mon (+47,3%), seguita da Inwit (+34,9%). Anche l’ebit margin medio è in contrazione al 7,7% rispetto all’11% del 2019 (-3,3 punti percentuali).

La redditività premia il settore energia/utilities con l’ebit margin più elevato nel 2020 (17,3%; +1,9 p.p. sul 2019), seguito da quello dei servizi (9,2%; -7,1 p.p.) e della manifattura (4,9%; -2,5 p.p.). Riduzione consistente per il petrolifero (-12,5 p.p., ebit margin in coda allo 0,5%). Campioni di redditività nel 2020: Snam (ebit margin al 51,4%), Terna (48,2%) e Inwit    (43,7%).

Per le società del Ftse Mib il 2020 si è chiuso in rosso, segnando una perdita netta di quasi 1,5 mld di euro rispetto all’utile di 12,8 mld nel 2019, dovuta in gran parte al rosso di Eni (-8,6 mld). Utile netto nel 2020 per il comparto energia/utilities (5,5 mld), per la manifattura (1,3 mld) e i servizi (0,3 mld).

Per quanto riguarda i dividendi, nel 2021 ne verranno distribuiti complessivamente 1,4 mld in meno (-12%) rispetto al 2020. In aumento però i dividendi distribuiti dai grandi gruppi pubblici di energia/utilities (+0,6 mld) e dalla manifattura privata (+0,2 mld). In generale diminuzione anche gli investimenti (-11,3%, pari a 4 mld in meno sul 2019), con importanti flessioni per il petrolifero (-45,2%). In controtendenza gli investimenti del comparto energia/utilities (+3,7%) e leggera riduzione per quelli manifatturieri (-2,8%).

Nel 2020 le società Ftse Mib esaminate hanno occupato mediamente 723mila persone. L’adozione di misure volte alla salvaguardia dei livelli occupazionali (quali il divieto al licenziamento) ha limitato la contrazione del numero degli occupati a un -1,4% pari a -10mila dipendenti mediamente in meno rispetto al 2019. Sul fronte liquidità si registra invece un incremento per tutti i settori, pari complessivamente a oltre 22 mld (+34,5%). Il 2020 chiude con 86,9 mld complessivi in cassa, pari al 28,6% dei debiti finanziari (era il 23% a fine 2019). Continua a peggiorare la struttura finanziaria, misurata dal rapporto debiti finanziari/capitale netto che aumenta al 133,2% (era al 117,6% a fine 2019).

Il fatturato della grande manifattura italiana, generato per oltre la metà dalle Americhe, ha registrato nel 2020 il peggiore calo degli ultimi 30 anni e l’unico in doppia cifra (-14,3%). A diminuire sono stati specialmente i ricavi realizzati nell’area delle Americhe (-18,3%), seguiti dall’Emea (-14,1%), mentre aumentano quelli dell’area Asia e Pacifico (+2,8%). La manifattura è il settore che evidenzia la reazione migliore nella seconda parte del 2020 rispetto alla débâcle del secondo trimestre il cui fatturato era crollato del 42,2%: il calo dei ricavi si riduce al -4,2% nel terzo trimestre (rispetto al -14,3% del totale Ftse Mib) e al -6,5% 3 nel quarto (-11% il totale Ftse Mib). Per le società manifatturiere è previsto un rimbalzo del 10% del giro d’affari nel 2021 e un ritorno ai livelli pre-crisi nel 2022. L’ebit margin si ferma a quota 4,9% nel 2020 tornando sui livelli registrati durante la crisi finanziaria del 2009. La contrazione di -2,3 punti percentuali del risultato netto rapportato al fatturato risulta identica a quella registrata nel 2009.

Nel 2021 è di sessant’anni l’età media degli apicali nei Cda delle 27 società esaminate. Il 14% delle posizioni di comando è ricoperto da manager stranieri. Le donne al vertice sono più giovani dei colleghi maschi: 54,9 anni versus 60,4 anni, ma hanno solo il 10% delle posizioni chiave. Nel 2020 diminuisce di oltre 21 mln sul 2019 il monte compensi degli apicali a 102,5 mln; il calo, pari al -17%, è di oltre tre volte più pesante rispetto a quello del costo del lavoro complessivo (-5%). Il peso della componente fissa della remunerazione è salito al 41% dal 37% nel 2019. Lo stipendio medio di un apicale è stato pari a 2.056.600 euro lordi nel 2020 (di cui 834.100 euro la quota fissa e 1.222.500 la quota variabile), oltre 36 volte il costo medio del lavoro (56.900 euro). Occorrono quindi 36 anni a un lavoratore 'medio' per guadagnare quanto un suo 'apicale' nel 2020: dal 1984 al 1999 per la quota fissa e dal 2000 al 2020 per quella variabile. Il compenso medio delle figure di comando cresce con la capitalizzazione delle società gestite: va da un minimo di 1.227.600 per gli apicali di società con capitalizzazione inferiore ai 5 mld fino ai 5.145.500 per gli apicali di società con capitalizzazione maggiore di 20 mld. La remunerazione media di un presidente donna è inferiore del 16,8% a quella di un presidente uomo.

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