• Food

Guido Gobino, maestro cioccolatiere, imprenditore illuminato nel solco di Ferrero, Armani e Cucinelli

Dove ci sono la qualità e l'unicità del prodotto, il tema della dimensione si azzera

Per ogni volta che si sostiene che per competere serve un certo tipo di taglia aziendale, c’è un esempio, in Italia, che dimostra il contrario. Un territorio dove se la giocano contemporaneamente multinazionali, pur poche, e piccole e medie imprese artigiane da qualche milione di euro. Ferrero e Guido Gobino, per fare un esempio. Numero diversi, mercati diversi, ma pur sempre aziende che hanno scelto di fare della qualità, della serietà, dell’etica e della sostenibilità l’ingrediente principale di quello che poi vanno a vendere sui mercati internazionali. La Guido Gobino, che prende il nome dal maestro cioccolatiere che l’ha fondata e che si posiziona in una fascia altissima di mercato, ha presentato il primo bilancio di sostenibilità. Nel redigerlo Gobino si è reso conto che la sua realtà era sostenibile da sempre. Oggi con una consapevolezza in più, nel solco di altre aziende ‘illuminate’ del made in Italy. Tra tutte, Guido Gobino fa esplicito riferimento a Brunello Cucinelli e Giorgio Armani.

Tutto parte dal Tourinot, il gianduiotto simbolo di Torino

“Nel 2020 in occasione del 25esimo del Tourinot, il nostro gianduiotto più famoso, avevo pensato di scrivere un libro. L’ho fatto, insieme a Giuseppe Culicchia (‘5 grammi di felicità’). All’interno la storia mia vita, un percorso lunghissimo. Lo avevamo scritto prima di Natale, pensavamo di uscire tra gennaio e febbraio e poi si è bloccato tutto. Mi sono sentito in dovere di scrivere quello che era successo perché mi sono trovato qui solo, a marzo, con i dipendenti a casa e la produzione ferma. Ci pensavamo invincibili e di potere camminare sulle nuvole e invece ci siamo trovati per terra. Ma abbiamo pur sempre radici langarole, contadine, e la riflessione che è venuta naturalmente è stata che dovessimo ritornare ai ritmi che ci impone la natura. Abbiamo corso troppo, siamo andati sregolati verso il guadagno e lo sviluppo e non ci siamo resi conto che tutto questo creava squilibri che oggi ce li ritroviamo tutti. Insomma era arrivato il momento di cambiare passo e pensare a quello che lasceremo ai nostri figli, a un discorso di filosofia e di nuovo umanesimo legato alla natura e al rispetto della persona piuttosto che allo sviluppo economico a tutti i costi”.

Parla, da imprenditore, di nuovo umanesimo. Mi ricorda un suo collega…Brunello Cucinelli

“A fare delle riflessioni mi hanno aiutato Brunello Cucinelli e anche Giorgio Armani, con il quale collaboro da tre anni. Un’azienda, la sua, che ha un concetto ben preciso di equilibrio, rispetto dei dipendenti, della città che ti accoglie e che ti ha reso famoso. Insieme al mio staff di collaboratori, molto in gamba e molto legati all’azienda, diversi sono figli di ex dipendenti, abbiamo scoperto che la sostenibilità, se lavori con buon senso, con etica e rispetto di determinate regole, la fai già. Abbiamo scoperto, ad esempio, che sui consumi di acqua eravamo già attentissimi, avevamo fatto già investimenti molto costosi. Anche in termini di inquinamento acustico, tra l’altro. Insomma, eravamo sostenibili e da buoni sabaudi non lo avevamo detto ancora a nessuno”.

Il rispetto come valore fondante, come si esprime nei confronti dei fornitori, della filiera?

“I fornitori vanno rispettati, come vanno rispettati i clienti. Noi importiamo anche da paesi svantaggiati, ma le nocciole le comperiamo direttamente in Langa, lo zucchero in Italia dove finalmente abbiamo potuto assistere a una nuova spinta alla produzione di barbabietola da zucchero nel Polesine. Costa di più, giustamente. Non è autarchia, ma un prodotto che vale 0,6 centesimi al chilo, considerata l’Iva e il guadagno del rivenditore e di chi lo ha trasportato dall’estero, cosa resta al contadino? Lo zucchero prodotto in centro America, tagliato con macete, sfruttando il lavoro minorile, con infortuni drammatici, cosa vale? Cosa restituiamo al contadino che si taglia le dita tutti i giorni per coltivare la canna da zucchero? Questo va detto al consumatore. Lo zucchero che arriva a Torino da Rovigo ci impiega tre ore. L’altro fa il giro del mondo e poi costa 0,60 euro”.

Chi deve raccontare, chi deve mettere a conoscenza il consumatore di queste dinamiche?

“L’imprenditore deve spiegare al consumatore che dietro ad alcune sue scelte c’è un’etica. Io importo il cacao da determinati paesi, ma dietro c’è attenzione, cerco di bypassare tutti gli intermediatori per garantire al contadino di guadagnare. Solo così può continuare a darci il cacao migliore possibile. Ma lo paghiamo il giusto e anche qualcosa di più. In Italia la situazione è diversa. Nella Langa, dove compero le nocciole, se il contadino non guadagna, smette di lavorare. E viceversa: lo hanno ben capito i produttori di vino che ora imbottigliano e guadagnano. Noi abbiamo anche la fortuna di avere Ferrero nel nostro territorio, che ha sempre fatto sostenibilità e bisogna solo imparare. Sostiene la produzione locale, dà lavoro e dunque conserva la vita nelle campagne. I contadini guadagnano e non se vanno.

Quanti siete in azienda?

“Siamo 33, il 70% sono donne. L’età media è di 35-36 anni, quindi relativamente giovane. Qui c’è parità di trattamento. Mi sembra banale affermarlo. Eppure è assurdo che non sia così ovunque. In fondo, in Italia, ci va bene che determinate cose non cambino. Ci lamentiamo dei politici, ma alla fine i politici li votiamo noi. Spero che i giovani siano, e lo sono, più illuminati, attenti e vogliosi, con un desiderio di maggiore equilibrio sociale. Abbiamo una potenzialità inespressa perché, paradossalmente, ci va bene che le cose non vadano bene. Una questione di etica con cui dobbiamo fare i conti, una educazione che manca”.

Ma come fa il capitalismo familiare a competere nel mondo globale?

 “La risposta è made in Italy che, se fatto seriamente, è vincente in tutte le parti del mondo. Significa grande industria, ma anche artigianato diffuso che non ha eguali nel mondo. In tutto: nel cibo, nella moda, nella pelle. Il cibo soprattutto. Altrove è iperindustriale. Qui in Piemonte ogni vallata ha un formaggio diverso. La competitività passa per l’unicità. Siamo competitivi perché siamo unici, persone serie che producono prodotti unici al mondo. E infatti ci apprezzano in Giappone, maniacali per certi versi nella cura della qualità: per noi è un grandissimo mercato da 15 ann. Ma anche gli Emirati arabi li puoi conquistare: hanno una tradizione di cucina importante e una grande sensibilità. Dove c’è sensibilità di gusto e tradizione, si comprende la nostra qualità. Penso anche al Libano”.

Dunque il tema della dimensione si azzera laddove c’è la qualità.

“Mi batto da anni per il cioccolato di Torino. Una tradizione pazzesca. Nel mondo sei vincente e non hai paura di nessuno. Se come Ferraro o come Armani per la moda Italiana. Ora dobbiamo affrontare il 2021 e siamo corazzati. Dopo un anno di guerra si impara a sparare e sappiamo, adesso che si vede la fine del tunnel, che possiamo tornare a crescere. In quanto tempo non si sa, ci vorrà certamente tempo, ma lavorerò per questo”.

La Guido Gobino oggi è interamente in mano alla famiglia. Tante le offerte da parte di fondi e private equity. “Alcune molto serie, ma io sono troppo innamorato della mia azienda.  Dopo di me, se vorrà, ci sarà mio figlio. Sicuramente, fino a che posso, vado avanti da solo. Mio figlio avrà un’altra visione, ha fatto studi diversi. Deciderà lui. Quando hai una realtà tua, anche se non diventi miliardario, va bene cosi: sei una famiglia che con grande soddisfazione ha fatto crescere altre famiglie”.

(Nella foto: Armani/Dolci by Guido Gobino, Collezione Pasqua 2021)

Banner-Adv
Banner-Adv