• Fashion

La moda brucia 29 miliardi nel 2020, a rischio posti di lavoro (20mila nel retail)

Il grido d'allarme di Confindustria Moda, Federmoda e Montenapoleone District

La filiera moda serra le fila e lancia un grido d'allarme all'indomani del nuovo Dpcm licenziato dal Governo e in attesa di sapere quali saranno le regioni o le aree del Paese considerate rosse. La stima di dell'Ufficio Studi di Confindustria Moda è che verranno bruciati 29 miliardi nel 2020 (-29,7% rispetto all'anno precedente), mentre Federmoda, che riunisce i dettaglianti, evidenzia che il verranno persi 20 miliardi di euro e 20mila posti di lavoro se verrà dato corso alla decisione di chiudere i negozi. Montenapoleone District, espressione delle griffe che 'abitano' il Quadrilatero della moda milanese, sottolinea invece il rischio che le perdite dalle mancate vendite conseguenti la chiusura dei negozi possano diventare strutturali. Le conseguenze le possiamo immaginare.

Ma andiamo con ordine. Confindustria Moda migliora le stime rispetto alla contrazione attesa: indicava precedentemente un calo 32,5% che ora si riduce al 29,7%. In tutti i casi si nota una decelerazione del calo: da -36,2% del primo trimestre e da -39% del secondo, ma a fronte di un Pil nazionale che rimbalza del 16,1%. Una tendenza rispecchiata nella raccolta ordini che nel terzo trimestre segna  -24,7%, contro il -37,3% registrato nell’arco di tempo aprile-giugno. Una survey condotta dall'Ufficio Studi di Confindustria Moda tar un campione di aziende del settore, mostra la previsione di una perdita del fatturato annuo superiore al 10%, nettamente peggiore rispetto alle previsioni che vedono il Pil italiano calare del -8%. Il 29% delle aziende interpellate vedrà un calo del fatturato compreso tra il -35% e il -50%; un ulteriore 15% del campione arretrerà di oltre il -50%. Nel terzo trimestre 2020, la quota di aziende che ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali si attesta al 74%, in calo rispetto al 90% emerso nelle rilevazioni precedenti. Al contempo, scende al 33% la quota delle aziende con oltre l’80% dei dipendenti interessati dalla Cig e nel 19% dei casi, rispetto al 6% del II trimestre, gli addetti coinvolti non superano il 20% del totale. Le aziende con personale in smart working risultano pari al 21% del campione; il 64% di queste ha in tale modalità meno del 10% dei dipendenti totali, solo il 6% più del 50%.

Per quanto riguarda i mercati esteri, alla data della rilevazione, per il 62% delle aziende italiane nessun mercato risulta ripartito, e solo un imprenditore su tre segnala un certo dinamismo da parte di alcuni Paesi strategici ovvero Germania su tutti, quindi Francia e Cina. Per quanto riguarda l’export, nei primi sette mesi dall’anno l’andamento si è vista una contrazione del 26,4%, contro il -14,0% del settore manifatturiero nel suo complesso. "E' sempre più grave la crisi del settore del Tessile, Moda e Accessorio, oramai impotente di fronte a questa seconda ondata pandemica" sottolinea il presidente Cirillo Marcolin. Le aziende che compongono le nostre filiere sono generalmente piccole e medie imprese ed è quindi naturale che vengano più colpite rispetto alla media. Anche l'andamento del fatturato del terzo trimestre conferma una debolezza più marcata rispetto ad altri settori, dovuta da una parte alla diminuzione del mercato domestico e, dall'altra, alle grandi difficoltà dell'export, attività che storicamente ha aiutato tutto il made in Italy. Ne è prova l'utilizzo massiccio della cassa integrazione che per 1 azienda su 2 rigurada oltre il 60% dei dipendenti".

Forte preoccupazione anche da parte di Federmoda: "Andiamo verso un disastro. L'incapacità di fare fronte alla nuova ondata di contagi prevista da mesi non può ricadere sui negozi di moda", denuncia il presidente Renato Borghi, evidenziando che, con le ulteriori restrizioni preannunciate dal nuovo Dpcm, si arriverà a una perdita complessiva di oltre 20 miliardi di euro di consumi nel solo dettaglio moda a fine anno, con la chiusura definitiva di 20 mila negozi in Italia e conseguente ricaduta sull’occupazione di almeno 50 mila addetti. "Siamo fantasmi. Sono sotto gli occhi di tutti i gravi danni subiti dai negozi di moda che vivono di collezioni stagionali, ordinate anche otto mesi prima dell’arrivo dei prodotti in store e che hanno investito centinaia di migliaia di euro in merce che, a questo punto e con ogni probabilità, resterà ferma. E poi troviamo incredibile che ci si sia dimenticati di un settore come il nostro. Attivare lockdown differenziati, in base alla gravità degli effetti della pandemia sui territori, non deve significare negare ristori a chi sta meno peggio perché non costretto alla chiusura, ma concedere, se mai, contributi più congrui alle necessità di chi chiude forzatamente”. 

“Nessuno, dopo l’esperienza della tragica primavera, capisce che questo nuovo lockdown è fisico per alcune categorie, ma anche virtuale e non meno letale per altre come la moda anche nei territori dove non sono disposte chiusure per decreto. C’è stato tutto il tempo per poter valutare possibili scenari ed interventi alternativi. Ma non li abbiamo visti. C’è stata un’inefficienza che alla fine pagheremo noi. Le nostre attività non riescono a stare aperte senza prospettive: vanno aiutate" continua Borghi, spiegando che "servono contributi a fondo perduto, credito d'imposta per gli affitti, condono tombale sui versamenti tributari e contributivi del 2020 e una moratoria per tutto il 2021, detassazione o rottamazione dei magazzini per superare il grande problema delle rimanenze, sospensione dei mutui e dei leasing bancari e prosecuzione della cassa integrazione fino a tutto il 2021”. 

Anche MonteNapoleone District, associazione che riunisce oltre 130 global luxury brand attivi nelle vie di MonteNapoleone, Sant’Andrea, Verri, Santo Spirito, Gesù, Borgospesso, Bagutta e San Pietro all’Orto e gli Hotel 5 Stelle lusso Partner, esprime "il proprio disappunto sulle misure adottate e dubbi sui potenziali benefici" e manifesta "molta preoccupazione sull’impatto che tali provvedimenti potranno causare". "Comprendiamo che in questo momento la salvaguardia della salute sia l’obiettivo primario delle istituzioni e ci uniamo nel sottolineare che la tutela dei clienti e dipendenti dei nostri associati sia anche la nostra priorità. Tuttavia - osserva il presidente Guglielmo Miani - considerati il numero ristretto di ingressi giornalieri e la limitata permanenza, ritengo sia importante continuare a garantire l’apertura di negozi e punti di ristoro per preservare una 'normalità', come concesso agli operatori dei servizi alla persona. Senza dimenticare i consistenti danni economici, che potrebbero anche diventare strutturali, auspichiamo quindi un ripensamento dei provvedimenti con una strategia e obiettivi che consentano una gestione efficace dell’emergenza sanitaria e tutelino al contempo il sistema di aziende di una Regione nevralgica per l’intero Paese”.

 

 

 

Banner-Adv
Banner-Adv