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L'industria del lusso inglese, al risveglio dalla pandemia, paga il prezzo della Brexit

L’Europa e la Gran Bretagna, storicamente, hanno sempre rappresentato la casa del lusso. Dal 2020 in poi però, gli equilibri sono progressivamente cambiati portando i paesi membri dell’Unione Europea ad avvantaggiarsi rispetto ai fuoriusciti di Oltremanica che stanno progressivamente perdendo il loro primato. La Gran Bretagna, complice il combinato disposto di pandemia e Brexit, sta diventando una meta sempre meno ambita per il turismo di fascia alta e altissima, a tutto vantaggio di Francia, Italia e Spagna. Secondo l’analisi condotta da Walpole, l’osservatorio del lusso inglese che ha da poco pubblicato il suo ultimo report, nei dieci anni precedenti il 2019, il valore dell’indotto portato dal turismo cresceva con un ritmo medio del 6% l’anno; nel suo complesso, sommando quello interno e quello internazionale, contribuiva al 4% del pil del paese con un valore complessivo di circa 85 miliardi di sterline. 

30 miliardi erano riconducibili al cosiddetto ‘high-end tourism’, ovvero quello rappresentato da chi sceglie sistemazioni lussuose e in hotel a cinque stelle. A confortare questi numeri, il rilievo effettuato dall’agenzia del turismo Visit Britain che ha evidenziato come lo shopping abbia sempre rappresentato una delle principali motivazioni per venire nel Regno Unito. Generalmente, sempre stando all’analisi di Walpole, questo segmento era rappresentato da visitatori disposti a spendere il 14% in più della media, tradotto: 1 sterlina spesa da super ricchi, che scelgono sistemazioni lussuose, genera 8 sterline di valore per tutti gli altri settori come la cultura, l’intrattenimento e lo shopping, appunto. 

La ricaduta di questi introiti si riverberava su circa 160 mila posti di lavoro nel settore lusso distribuiti in tutto il Regno Unito e in tutte le industrie del comparto. 

Andando a scandagliare l’analisi di Visit Britain si rileva come dei 42 milioni di visitatori approdati qui tre anni fa, i Paesi del Golfo, con l’Arabia Saudita in testa, guidavano la classifica dei più intenzionati a spendere. Nel 2019 si parlava di una media di 3.532 sterline a soggiorno (circa una settimana); di queste, 212 spese in albergo, a notte. Numeri importanti se paragonati alla spesa del turista medio che si attestava sulle 682 sterline a vacanza, con 93 sterline per il pernottamento. Nella classifica degli anni d’oro, seguiva a ruota il Qatar, con una spesa media di 2.800 sterline a visita, mentre al terzo posto arrivavano i turisti con passaporto del Kuwait (2.700 sterline) seguiti dal Bahrain (2.500 sterline) e dalla Cina (1.933). In particolare, questi ultimi, però, scendono di livello quando si tratta di considerare la spesa per il pernottamento perchè spesso trascorrono soggiorni più lunghi e non solo per fare vacanza.  I cinesi arrivano in Gran Bretagna per trascorrere in media 17 giorni; dall’Oman spesso vengono per restarne 18. 

Adesso però la musica è cambiata per tutti e le associazioni che rappresentano il mondo del lusso stanno chiedendo al governo interventi che possano invertire un trend negativo che sta fortemente penalizzando tutto il comparto. Il ritorno alla normalità post pandemia, infatti, ha rappresentato un brutto risveglio per chi considera i visitatori internazionali il maggiore fattore di crescita e sviluppo. Come detto, se lo shopping nella capitale inglese è sempre stato il più grande stimolo per il turismo, ora le cose non stanno più così e dopo la pandemia, gli effetti della Brexit e delle politiche messe in atto dal governo si sono mostrati chiaramente. Prima tra tutte, la decisione di cancellare lo shopping tax free a partire dal 2020. Il VAT Retail Export Scheme – VAT RES permette ai residenti al di fuori dell’Unione Europea di vedersi restituito il valore dell’Iva (VAT) pagata sui beni comprati in Europa. Uscendo da questo regime, la Gran Bretagna ha perso ogni vantaggio competitivo nei confronti di Parigi, Milano e Madrid, diventando l’unico paese europeo a non offrire più tax free shopping ai turisti con grandi capacità ed intenzione di spesa, in arrivo soprattutto dai paesi del Golfo e dagli Stati Uniti.

A questo va sommato anche il danno provocato dall’inasprirsi delle regole per ottenere la Visa che rende più difficile l’arrivo dai paesi del Medio Oriente come Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi, Qatar, Bahrain e Oman e dalla Cina. Per tutti loro, i paesi Schengen sono molto più semplici da raggiungere di quanto non sia diventata oggi  Gran Bretagna. Le indicazioni contenute dal report pubblicato da Walpole per rilanciare il settore sono chiare: serve una riforma. In allegato viene anche consegnata al governo Johnson la richiesta di estendere gli orari di apertura domenicale delle attività nelle zone a più alta densità turistica, in particolare in centro, nel West End e a Knightsbridge, l’area super lussuosa dove ha sede anche Harrods. Un settore che vale 48 miliardi di sterline per l’economia britannica non può permettersi di pagare un prezzo tanto alto a Brexit e pandemia. 

I viaggiatori del settore lusso devono essere motivati a scegliere Londra, è il monito di Walpole che chiede di reintrodurre immediatamente il sistema VAT RES, che sul retail avrebbe una immediata ricaduta stimata in circa 1,2 miliardi attirando in UK almeno 600 mila visitatori in più, subito. In particolare, questa scelta è costata un crollo del 38% nelle vendite ai cittadini non UE, un danno inestimabile se rapportato al momento storico in cui si cerca di riprendersi dall’impatto della pandemia e si vede come Italia, Francia e Spagna abbiano un passo molto più rapido in questa direzione. E punta direttamene ai turisti del settore lusso la CEO di Walpole, Helen Brocklebank, spiegando che: “Bisogna riportare nel Regno Unito i turisti che vogliono spendere negli hotel e nei ristoranti di lusso, nei negozi e nei luoghi della cultura”, che significa più entrate e più posti di lavoro. Solo così si potrà assistere ad una vera ripresa che, a queste latitudini, ancora stenta a prendere velocità.

 

 

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