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"Più creatività, meno tessuto!"... E meno plastica. Quoise e Deploy di scena a Londra

“Più creatività e meno tessuto”. Se, come noto, la moda è una delle industrie più inquinanti al mondo, Deploy, fondata a Londra nel 2006, si è affermata come marchio tra i più impegnati nella realizzazione di capi di moda sostenibile tra i più apprezzati a livello internazionale. Era invece il 2021, piena pandemia, quando un gruppo di sei amici italiani con esperienze professionali completamente diverse tra di loro, durante il lockdown ha deciso di trasformare quella fase di incertezza in un momento di grande creatività per dare vita ad un marchio di occhiali da sole con materiale riciclato al 100%. Due esperienze a confronto, a Londra, nel talk organizzato da Leaders First (https://www.leadersfirst.co.uk/home) per fare il punto sulla moda sostenibile partendo da storie e latitudini lontane tra loro.

 

In comune, la volontà di investire sul futuro, costi quel che costi. E farlo ha un prezzo, come spiega a Luxury&Finance Stefano Lanzi, co-Founder di Quoise, la start up italiana che ha deciso di dare il suo contributo per liberare il mare dai rifiuti. I suoi occhiali da sole colorati sono prodotti con i detriti e le reti da pesca abbandonati che, nelle giornate di raccolta, vengono presi dalle spiagge per essere riutilizzati nella produzione di un oggetto leggero, innovativo e sostenibile al 100%. Basta partire da questo per capire che i costi sono alti, che l’impegno ha un prezzo, ma “non è al breve periodo che bisogna guardare”, chiarisce Lanzi davanti al pubblico di imprenditori e manager raccolti a Chelsea, nel cuore di Londra. E’ sul medio e lungo periodo che si raccolgono i frutti dell’agire sostenibile anche e soprattutto nel mondo della moda. 

Un dato su tutti: della plastica prodotta nel mondo dalla Seconda Guerra Mondiale è stato riciclato solo il 7%. Produrre occhiali di plastica nuova, spiegano da Quoise, costerebbe certo meno rispetto a raccogliere, lavare e trattare quella gettata via, ma che prezzo avrebbe per il futuro del mondo? Bernice Pan è un architetto ma, fondando Deploy, ha deciso di dedicare tutta la sua carriera alla necessità di cambiare passo nel mondo della moda. “Oggi, solo il 2% dei materiali normalmente usati nella produzione è stato riciclato - spiega - e non essendoci vere regolamentazioni, basta poco per dare un’etichetta green che però rimane solo sulla facciata e nella comunicazione”.

Nel 2019, “Fixing Fashion - clothing consumption and sustainability”,  uno studio commissionato dal parlamento inglese ( https://publications.parliament.uk/pa/cm201719/cmselect/cmenvaud/1952/1952.pdf) aveva evidenziato chiaramente la necessità di creare una regolamentazione ad hoc, ma poi il governo ha ritenuto di agire diversamente. E se chi ha il potere legislativo nei singoli Stati sinora non ha mai messo questo impegno tra le priorità in agenda, va riconosciuto qualche sforzo nei passi fatti in questa direzione dall’Unione Europea così come dalle Nazioni Unite che hanno decretato il 2021, Anno Internazionale della Economia Creativa per lo Sviluppo Sostenibile (https://en.unesco.org/news/international-year-creative-economy-sustainable-development). 

Il livello che pone maggiori resistenze è naturalmente quello industriale. “Ciò che le aziende non comprendono - spiega Bernice Pan - è che tagliare sugli sprechi non significa tagliare sui profitti o sulla crescita”. Ed è proprio questo ciò in cui hanno creduto e credono i fondatori di Quoise che, in collaborazione con centri di studio come il Cnr, stanno concentrando il loro investimento nella ricerca di un prodotto e  nella creazione di una filiera produttiva che sia in grado di  sviluppare una vera alternativa allo spreco, nel rispetto del mare. Il tutto, senza rinunciare alla bellezza e al valore del Made in Italy, perché Slow Fashion non significa abdicare al gusto ma moltiplicare il valore. Va detto che le due esperienze a confronto non hanno dato l’impressione di essere ispirate da un pensiero laterale nella ricerca della sostenibilità. Il tema è dritto davanti agli occhi e al futuro di tutti, sta al sistema metterlo in pratica.

Bernice porta l’esempio delle case di moda italiane come Max Mara che, nel momento in cui privilegiano una produzione con tessuti di alta qualità organici come il cotone, non fanno altro che ispirarsi alle tradizioni che, in passato, già agivano in maniera più sostenibile rispetto a chi si basa esclusivamente sul prodotto sintetico; prima dell’esplosione del Fast Fashion. Germania, Olanda e Belgio sono i paesi europei  più attenti e meno over consuming, quelli che non comprano oltremisura, che guardano alla qualità e contestualmente al processo produttivo, oltre che all’estetica. Così si arriva al terzo livello sul quale agire per cambiare le cose: la cultura e le abitudini del consumatore.

Per andare in questa direzione, Deploy ha messo nella sua mission anche la determinazione a cambiare prospettiva rovesciando il punto di osservazione. “Non sei tu che devi entrare nei nostri pantaloni - spiega Bernice Pan - ma sono i nostri capi che devono sapersi adattare al tuo corpo, con tutte le sue peculiarità”. Questo significa produrre in maniera diversa, nel totale rispetto dell’ambiente e della persona nella sua singolarità, evitando sprechi. Gli indumenti di una moda sostenibile devono essere vendibili e versatili: una giacca può diventare tre giacche diverse giocando con bottoni e strappi. Le rifiniture possono essere ricavate dai materiali di risulta di collezioni precedenti e devono pennellare il corpo di chi indossa il capo a lungo termine perché non ha senso produrre un capo che nessuno indosserà. Come spiega Tosin Trim, direttore della produzioni di Deploy: “Le nostre collezioni saranno il vintage di domani”; quei capi che resistono al tempo e vanno al di sopra delle mode passeggere. Se non si cambia tendenza e non si coinvolgono tutti i livelli, da quello dei governi, a quello industriale fino a quello culturale, nel 2050 saremo sepolti da milioni di bilioni, trillions, di rifiuti di indumenti gettati via ad inquinare l'ambiente, molti più di quanto la popolazione mondiale possa indossare, anche impegnandosi. 

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