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"Pronti per una Fed trumpiana?". L'analisi di Julian Howard di GAM (LA PAROLA AL MERCATO)

“Negli anni ’90 si diffuse un consenso: le banche centrali dovevano essere indipendenti e trasparenti nelle loro decisioni sui tassi d’interesse”. Lo ricorda Julian Howard, Chief Multi-Asset Investment Strategist di GAM. “Oggi, con la nuova amministrazione Trump, questo principio è di nuovo in discussione.”

Nell’ultimo anno la Casa Bianca ha esercitato pressioni sulla Federal Reserve affinché riducesse i tassi in modo aggressivo, nonostante un’inflazione al 2,9%. “Il presidente Trump ha accusato Powell di essere troppo lento, ha tentato di rimuovere la governatrice Lisa Cook e ha nominato Stephen Miran, favorevole a cinque tagli dei tassi solo quest’anno”, osserva Howard. L’obiettivo politico è chiaro: sostenere l’economia in vista delle elezioni di medio termine, ridurre il costo del servizio del debito e alleggerire il peso dei mutui, oggi oltre il 6,3%. Tuttavia, secondo l’analista, l’amministrazione sembra fraintendere la natura dei tassi di mercato: “Il tasso ipotecario a 30 anni dipende dal rendimento dei Treasury a 10 anni, fissato da acquirenti e venditori, non dalla Fed. L’autorità monetaria controlla solo i tassi a breve termine”. Un’eventuale perdita d’indipendenza della banca centrale, avverte Howard, avrebbe conseguenze potenzialmente gravi. “La politica monetaria che perde il suo punto di riferimento rischia di provocare un’inflazione fuori controllo.

La letteratura economica dimostra che l’autonomia di una banca centrale è ciò che tiene a freno le aspettative inflazionistiche. La sua rimozione avrebbe l’effetto opposto, indebolendo il dollaro e facendo salire i prezzi.” Howard evidenzia come già nel 1997, con l’indipendenza della Bank of England, i mercati obbligazionari abbiano reagito scontando una riduzione dell’inflazione. “Se accadesse l’opposto con la Fed, il mondo assisterebbe a un’impennata delle aspettative di inflazione e a un probabile deprezzamento del dollaro.” Cosa fare dunque in uno scenario di “Fed trumpiana”? Secondo GAM, gli investitori dovrebbero considerare un’esposizione diversificata: “Asset reali come immobili e oro, azioni dei mercati emergenti e una quota stabile di titoli azionari statunitensi. Nel lungo periodo, le società USA hanno dimostrato di essere price-setter, capaci di superare l’inflazione con l’aumento degli utili.” Howard conclude: “Non possiamo costruire portafogli basandoci su previsioni politiche, ma mantenere un’esposizione di base agli Stati Uniti resta una scelta strategica. In fondo, molti investitori potrebbero essere già pronti per una Fed di Trump, senza nemmeno rendersene conto.”

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