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Sempre più verticali e integrate, il caso Beste e Monobi. Che ora sbarca a New York

Sempre più verticali, integrate e omnicanale. Le aziende che producono i filati e i tessuti, quelle che stanno 'a monte' della catena produttiva dalla moda, giocano la carta dell'ultimo miglio: andare direttamente al consumatore finale con un prodotto finito. Forti di una economia di scala che può fare la differenza. Non è un percorso semplice, tant'è che sino ad oggi poche sono davvero riuscite a realizzare questa ambizione: i grandi tessutai come Loro Piana, Ermenegildo Zegna o il Gruppo Reda, che con la recentissima acquisizone di Lanieri ha portato in house anche la competenza digitale. O Beste, che ha fatto dell'innovazione e della ricerca la sua pietra angolare. Ne è proprietario Giovanni Santi, prima generazione, che ha portato l’azienda a fatturare circa 35 milioni di euro servendo con i tessuti brand come Jil Sander, Lanvin, Hermès e Burberry. Con Monobi, brand di casualwear altamente performante, va direttamente al consumatore finale. Una premessa necessaria perché Monobi, come ama spiegare Matteo Villa, projetc manager del brand da fine 2018, "in soli 650 metri è in grado di approvvigionarsi del filato e di licenziare il capo finito". Il nome del marchio è un omaggio al Giappone, dove Mono significa ‘cosa’ in giapponese e Bi sta per Beste”. Del resto, il mercato giapponese è il primo per il brand. Una destinazione che non tutti possono permettersi di affrontare. Il consumatore giapponese ha profonda conoscenza del made in Italy ed è molto esigente rispetto sia al prodotto finito, sia alle sue peculiarità produttive e aziendali, che vuole necessariamente conoscere prima di acquistare. Beste aveva aveva già sperimentato e ampiamente dimostrato la capacità di realizzare il capo finito su licenza per alcuni delle più importanti griffe italiane, come Brunello Cucinelli, Dolce e Gabbana, Miu Miu e altri brand più di ricerca e meno tradizionali. Da lì “è cresciuto con la divisione abbigliamento in maniera organica, con un ufficio prodotto e modelleria (rigorosamente in 3D). Un classico imprinting industriale" rileva Villa, evidenziando che in un mondo dove la componente umana è molto importante, “Beste cerca anche la tecnologia più avanzata e i macchinari più innovativi".

Un casualwear altamente performante, per vivere la città con le medesime prestazioni che si ricercano nelle attività sportive all’aria aperta. Questo il segno distintivo di Monobi, brand che nasce dunque nella culla di Beste e rappresenta l’espressione finale di un’azienda totalmente integrata che produce dal tessuto al capo finito. Di Cantagallo, nel distretto della maglieria pratese, l’azienda madre sceglie sin dall'origine di produrre tessuto in cotone, utilizzando il massimo possibile di ingegnerizzazione e di tecnologia e mischiandolo con altre componenti e materiali in grado di garantire prestazioni sportive, come il Goretex. E Monobi, che è nata tre anni fa, è pronta al salto dimensionale e internazionale. Oltre all’Italia e al Giappone, l’estero vede ora lo sbarco negli Stati Uniti, grazie a un accordo con Stylistico, showroom newyorkese fondato da Marcello Abrate e Guglielmo Melegari, manager con una lunghissima esperienza negli States con ruoli di vertice in realtà come Max Mara, Pomellato, Benetton. 

“Il nostro è un prodotto slow fashion, di grande cura e attenzione alla qualità. La fortuna di essere integrati verticalmente – sottolinea Villa - ci dà la possibilità di essere competitivi, poiché acquistiamo il tessuto dalla ‘mamma azienda’ e godiamo di tutto il suo importantissimo know how di ricerca e innovazione tecnologica. Siamo anche in grado per ogni capo di potere tracciare l’intera filiera, a partire dal filato". Una tracciabilità chiara, che riguarda ogni singolo elemento prodotto da Beste.”Da questo punto di vista ci sentiamo iper-inattaccabili” chiosa. “Il nostro prodotto è di chiara ispirazione tecnica, per un consumatore che ha ambizioni di movimento importanti, che il tempo libero lo passa in montagna a passeggiare, a svolgere attività fisiche. Un cliente che è abituato a usare capi performanti là dove sono necessari e che apprezza il fatto di ritrovarli anche in un contesto urbano. Noi lavoriamo su questo: ci piace fare capi che abbiano un senso”. Entro settembre 2022 l'obiettivo di "aprire il primo negozio a Tokyo: un flagshi: in un mercato che sta dando le risposte corrette. Non vogliamo diventare una catena di retail indipendente. Puntiamo sull'e-commerce perché il futuro è quello, ma chiaramente la strada è lunga e ancora sono necessari alcuni passaggi". 

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