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Università, nessun ateneo italiano tra i primi 100, ma oltre il 40% nei top mille al mondo

Presentato aggiornamento ricerca di italiadecide, Intesa Sanpaolo, Luiss

Analizzando con un approccio sistemico il numero di università presenti nelle prime 100, 200, 500 e 1000 posizioni a livello globale, l’Italia continua a non avere università tra le prime 100 nei ranking QS e THE, ma anche nel 2020 posiziona nelle prime 500 e ancor di più nelle prime 1.000 un numero di università confrontabile almeno con Francia, Germania e Cina. Tuttavia, normalizzando i dati dei ranking sul totale di università presenti in ogni Paese, l’Italia supera tutti, incluso il Regno Unito, per numero di istituzioni universitarie tra le prime 1000, ovvero nel migliore 5% dell’intero sistema universitario mondiale. Il sistema italiano nel suo complesso vede infatti, nel caso di THE, addirittura oltre il 40% delle proprie istituzioni tra le top 1000, dove invece Francia, Cina e Stati Uniti posizionano meno del 10% dei loro atenei. Emerge dall'aggiornamento della ricerca 'L’Italia e la sua reputazione: l’università', realizzata da italiadecide, in collaborazione con Intesa Sanpaolo e presentata con il supporto della Luiss Guido Carli, condotta dal Comitato scientifico guidato dal professor Domenico Asprone con i professori Pietro Maffettone, Massimo Rubechi e Vincenzo Alfano. I dati ribadiscono, poi, una situazione di scarsa competitività a causa di risorse economiche nettamente inferiori agli altri principali Paesi di riferimento. Pur avendo un tasso di istruzione terziaria più basso degli altri, dato di per sé negativo, si riscontrano meno addetti alla formazione, con numeri ben lontani dai principali Paesi di riferimento culturale nello scenario internazionale. L’Italia, inoltre, destina alla ricerca una quota di risorse, rispetto alla spesa pubblica, decisamente inferiore rispetto alle principali controparte europee. Questo non permette di migliorare le modalità di reclutamento dei professori e il ricambio generazionale. Inoltre, la scarsità di risorse porta spesso a politiche della ricerca poco meritocratiche e più concentrate sulla distribuzione a pioggia di finanziamenti pubblici che a stento riescono a garantire l’ordinario svolgersi delle attività.

La ricerca riporta inoltre alcune indicazioni per rafforzare la qualità delle università italiane e la loro percezione all’estero, come: politiche di reclutamento di docenti e studenti competitive, maggiore efficienza della macchina amministrativa per liberare risorse da destinare alla ricerca e alla didattica,implementazione della didattica a distanza nell’offerta formativa per rendere l’istruzione più inclusiva, internazionalizzazione, collaborazione con imprese private, anche al fine di far incontrare domanda e offerta di lavoro, e reti tra atenei. Occorre inoltre saper comunicare in modo migliore, più organico e strutturato, i punti di forza del sistema universitario italiano, offrendo una lettura positiva del sistema di alta formazione italiano, sia per trattenere i nostri studenti sia per renderlo più competitivo verso gli studenti (e i docenti) stranieri.

La ricerca si focalizza, infine, su come il sistema universitario italiano abbia affrontato la pandemia e quali effetti siano stati prodotti con le policy messe in campo dal Governo e il Ministero per l’Università e la Ricerca, come: la no tax area, gli investimenti per assunzioni e borse di studio, misure efficaci per la tenuta del sistema. L’Università italiana ha sostanzialmente continuato nel 2020 a erogare lo stesso numero di ore di lezione, tenere gli stessi esami e produrre lo stesso numero di laureati del 2019. Pur tra tante difficoltà, il sistema ha dato prova di resilienza, flessibilità e spirito di sacrificio, adattandosi alla nuova realtà, per continuare a far girare la macchina. Si registra, addirittura un incremento di oltre il 9% delle immatricolazioni per il totale degli studenti nelle università pubbliche e del 7,1 % negli atenei privati (dal 15 novembre 2019 al 15 novembre 2020), a differenza di quanto accaduto nel 2009 quando la crisi economica fu pagata pesantemente anche in termini di mancate iscrizioni. Il Sud registra l’incremento maggiore, superiore al 6% (+8.000 immatricolazioni). Segue il Nord con oltre 10.000 unità, numero maggiore in valori assoluti ma con una variazione percentuale del 5,5% e infine il centro con un incremento di 5000 immatricolazioni, quasi il 4% (dati al 15 novembre 2020 comparati con il 2019). I sistemi internazionali a carattere privato si sono invece mostrati, nel complesso, meno resilienti rispetto a un sistema pubblico come quello italiano, sempre a patto che questo sia oggetto di maggiori investimenti, e non tagli, al sopraggiungere di una eventuale crisi.

"Questa ricerca - evidenzia Luciano Violante, presidente onorario di italiadecide - muove dall’idea che bisogna abbattere il complesso dell’autodenigrazione, del parlar male di noi stessi, che è sbagliato non solo perché spesso l’autodenigrazione é sbagliata, ma anche perché attiva atteggiamenti deresponsabilizzanti: se nulla funziona è evidente che nessuno si impegna. La ricerca spiega un paradosso: come mai le università italiane non sono tra le prime al mondo eppure i nostri laureati occupano in tutto il mondo e nelle più diverse discipline posti di altissima responsabilità? Probabilmente perché non solo il sistema nel suo complesso è migliore delle singole università, ma anche perché in molte università ci sono specifici settori di eccellenza. Questo peraltro non ci esime dallo sforzo di investire di più, di rinnovare il ceto dei docenti, di puntare inesorabilmente sul merito". Per Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, "Proporre soluzioni per migliorare il Paese è il merito dell’attività di italiadecide, in particolare di questa ricerca, ed è con questo spirito che la sosteniamo da molti anni. Entro il 2024 Intesa Sanpaolo assumerà 3.500 giovani ed è quindi necessaria la disponibilità di competenze utili alle necessità di quella che sarà la Banca dei prossimi anni, con un’attenzione anche agli equilibri di genere. Avere giovani preparati e un sistema formativo più internazionale e vicino al mondo del lavoro è fondamentale per la competitività di un Paese e delle sue imprese. Il sostegno a 70 atenei italiani e alcuni stranieri, tra cui Oxford, con progetti di collaborazione puntuali, è dettato dall’attenzione del Gruppo alla produzione e diffusione della conoscenza per una equa distribuzione della ricchezza". "Il nostro Paese, se analizzato nel suo complesso, emerge come un esempio virtuoso- ha sottolinato infine Paola Severino, vicepresidente Luiss - perché caratterizzato da una alta qualità media del sistema universitario. Il grande pregio di questa ricerca è di aver messo in rilievo non i numeri ma la comparazione tra sistemi, rilevando l’importanza di mediare tra base culturale “larga” e specializzazione, anche multidisciplinare, per l’avvio ai percorsi professionali. La formazione è la chiave per il futuro, soprattutto in un periodo di cambiamenti necessitati dalla crisi pandemica e per questa ragione bisogna puntare ad un continuo miglioramento del sistema universitario, coltivando anche il confronto con la Pubblica Amministrazione e con il mondo delle imprese, per la creazione delle nuove figure professionali richieste. Occorre infine curare anche una migliore comunicazione visto che, ad unanime giudizio degli esperti intervistati, la percezione della qualità dei nostri Atenei è inferiore alla realtà”.

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