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L’autunno caldo di Malo: Stati Uniti, Cina, un nuovo e-commerce e una capsule firmata da uno stilista segreto.

Entrato in partita a fine 2018, il fondo operativo Finplace Due, guidato dal manager che ha riportato i celebri maglioni allo splendore degli anni Ottanta e Novanta, ha dovuto rivedere i propri obiettivi a causa del Covid, continuando però a puntare lontano. Risultato? Un 2020 chiuso con 9 milioni di fatturato, una previsione per il 2021 che oscilla fra i 12 e i 14 e un ingresso in Cina, annunciato in questa intervista, studiato nei minimi dettagli.

Come un imprenditore della refrigerazione sia arrivato anche alla guida di uno storico brand di maglioni di cashmere è una di quelle coincidenze raffinate come la fattura dei capi Malo. Walter Maiocchi, da ragazzo, si fermava spesso a rimirare le trecce e i colori della vetrina Malo dietro via Montenapoleone, a Milano. Ci lasciò gli occhi, il cuore e la classica promessa che si fa ai commessi: “Ripasserò”. Solo che, invece del solo maglione blu, Maiocchi è tornato nel 2018 per prendere tutta la società e restituirle il lustro degli Anni Ottanta e Novanta. È storia nota: fondato a Firenze nel 1972 dai fratelli Canessa, il marchio era passato prima a It Holding nel 1999, poi a Evanthe (gruppo Exa) nel 2010 e al fondo d’investimento russo Quadro Capitals Partners nel 2014, che aveva portato l’azienda al fallimento nel giugno 2018. Maiocchi e il fondo operativo di restructuring aziendale di cui è Ceo – Finplace Due – hanno messo sul tavolo oltre 20 milioni di euro e una volontà precisa: tornare nel Gotha dello Slow Fashion mondiale. Poi, il Covid.

“Dopo un 2019 passato a ripristinare i telai meccanici”, racconta Maiocchi a Luxury&Finance, “e a rimettere in piedi il cuore pulsante dell’azienda con circa 120 persone al lavoro, il 2020 avrebbe dovuto essere l’anno del definitivo rilancio e invece abbiamo dovuto rimandare”.

Però non vi siete fermati, anzi.

“Abbiamo aperto punti vendita in Italia, fra cui Roma e Verona e due franchising in Russia. Abbiamo invece rimandato il discorso avviato negli Stati Uniti, dove avevamo presentato la nostra prima collezione nell’autunno del 2019, in uno showroom di New York. Qui abbiamo trovato una sede in Madison Avenue, dove era collocato il primo storico negozio Malo americano e quindi perfetta per trasmettere tutto l’heritage del marchio. Abbiamo deciso di giocarci l’inaugurazione dopo l’estate 2021, in parallelo al lancio del nostro e-commerce negli Stati Uniti”.

E-commerce che è stato l’ancora di salvezza di numerose attività. È stato così anche per voi?

“Sicuramente abbiamo dovuto accelerare sulla nostra presenza online. Prima abbiamo testato la risposta del mercato passando attraverso siti di shopping come Yoox, poi abbiamo lanciato la nostra piattaforma in Italia e in Europa. Adesso puntiamo su un sito innovativo studiato ad hoc per gli Stati Uniti, che faranno da tester prima di utilizzare la stessa architettura anche da questa parte dell’Oceano. Siamo sicuri che raggiungerà il suo scopo: stupire”.

Un marchio come Malo non può mancare nel mercato del lusso per eccellenza: la Cina. Quali sono i vostri progetti in Oriente?

“Siamo già presenti in Giappone con 12 negozi, siamo ripartiti quest’anno in Corea del Sud e posso anticiparvi che, dopo una lunga riflessione, entro fine anno Malo tornerà anche in Cina. Da subito saremo a Shangai e Pechino dentro boutique non nostre, poi è prevista un’espansione al franchising. Inoltre, poiché in Cina la maggior parte del business passa attraverso online e social, abbiamo fatto investimenti molto importanti su questo”.

Ha parlato di una decisione particolarmente ponderata. Come mai?

“Il mercato cinese fa gola perché consente di fare fatturato rapidamente e, dopo l’anno che abbiamo passato, ne avremmo tutti un gran bisogno. Però, la Cina ha una complessità tutta sua che ha richiesto un’approfondita analisi del posizionamento, perché sbagliare là significa trasformare i numeri incredibili in meteore e impiegare poi 10 anni a riprendersi”.

Però questa volta si parte.

“Siamo convinti di aver trovato il partner adeguato per realizzare la nostra volontà di una crescita esponenziale non solo nei numeri, ma anche di valore aggiunto. Nel comparto del lusso il cliente vuole riconoscibilità e stabilità: non possiamo permetterci di disperdere il nostro valore in tanti licensing che svalutano l’esclusività che il cliente cinese vuole”.

Ci assicura però che la produzione resterà un vero Made in Italy?

“Di più, resta fermamente 'made in Malo', come ci piace ripetere: tutto il nostro cashmere deve essere filato non solo in Italia, ma proprio nei nostri laboratori e con le nostre macchine. Abbiamo ripristinato gli storici telai meccanici della produzione tradizionale perché quelli elettronici stressano troppo il filo e causano il “fluffing” (più prosaicamente i pallini, ndr.) dopo due o tre volte. La nostra lavorazione, invece, rimane bella per sempre”.

E se non bastasse c’è sempre il servizio 'Malo forever'.

“Siamo consapevoli che un capo Malo sia un investimento, anche affettivo, e vogliamo che duri il più a lungo possibile. Da qui le linee timeless delle collezioni, il tailor made con la possibilità di scegliere filati, modelli e fattura e la rigenerazione dei maglioni “messi alla prova” da un utilizzo prolungato o dal tempo vengono rimessi in sesto. Li ripariamo, li laviamo con prodotti certificati GOTS (Global Organic Textile Standard) e li rimettiamo in forma. Poi, li rispediamo a casa dentro una bella scatola ecosostenibile, caratteristica a cui stiamo lavorando per tutto il packaging del brand. Certo, non è un business perché volutamente manteniamo un prezzo contenuto, ma è un messaggio preciso che diamo ai nostri clienti: i nostri sono capi da tramandare, non da buttare”.

In autunno Malo sbarcherà contemporaneamente negli Stati Uniti e in Cina. Altre sorprese?

“Una capsule ad hoc, disegnata da uno stilista che al momento non può ancora essere rivelato”.

Le previsioni di fatturato, invece?

“Per il 2021 scommettiamo su una forchetta che oscilla fra i 12 e i 14 milioni. Era l’obiettivo per lo scorso anno ma sappiamo tutti com’è andata”.

E a voi com’è andata?

“La chiusura dei negozi e il turismo internazionale bloccato ci hanno penalizzato non poco. Siamo riusciti a chiudere a 9 milioni”.

Poteva andare decisamente peggio. Ci tolga una curiosità: se l’è fatto fare il maglione che la fece innamorare davanti alla vetrina?

“Può scommetterci: un bel maglione blu a trecce, fatto a mano su misura e tenuto come un oracolo”.

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